Divara e altri sogni&incubi sopiti.

Treno, galleria.
Non so quando posterò ciò che sto scrivendo. Oggi è il 1° giugno –
il giorno seguente all’esame.
Ho preso 29, creature – ho preso 29 anche se ne nella traduzione avevo preso 18. Non so come ho fatto a prendere 18 nella traduzione. Intendo: nel saggio scritto subito dopo ho preso 28. Ok, odio tradurre, ma tra un 18 e un 28 c’è di mezzo la differenza tra due persone. Psicopatia? Comunque, la docente ha deciso di ignorare quel 18, poco indicativo secondo lei delle mie capacità, e mi ha dato 29.

Ho aperto questo file, denominato “lj”, perché sono di nuovo su un treno.
E potrei adesso scrivervi:
Ho preso 28, creature – ho preso 28 anche se l’assistente, che mi ha interrogato, mi aveva dato 26.
Ma poi la docente che tiene la cattedra, quando mi sono alzata, mi ha chiesto quale voto avessi preso. 26, le ho detto, perché non ho saputo rispondere a una domanda causa vuoto – rimuovo in fretta liste di tipologie di testo arbitrarie. La docente ha detto all’assistente di mettermi 27 (sul libretto su cui l’assistente aveva già scritto il voto) – no, 28, ha detto, mi mettesse a 28. Me lo meritavo.

… E lo riprendo in mano, a casa, di notte.
Il Dio Che Ride non vuole che io scriva su treni.
L’altro giorno sono stata interrotta da un controllore che mi ha eletto ad aiutante-di-vecchietta-zoppa-con-trolley, che ho aiutato con il bagaglio nel cambio del treno e che poi ha mi ha deliziosamente intrattenuta con i suoi commenti cinici da milanese d.o.c.
Ed eccoci qui.
Stavo per scrivervi qualcosa circa quei voti.
Stavo per scrivervi:
Beh, creature, se entraste nella mia testa vedreste – nella smoderata sincerità che ho con me stessa – che esistono solo tre voti:
1) 30 e lode
2) 30
3) Il/la docente e io che abbiamo idee troppo contrastanti e quindi vengo sbattuta fuori dopo aver urlato un’invettiva ideologizzante (mai successo).
Il 30 è la base e la lode il buon voto. Tutto il resto è sconfortante. Quindi, il 29 e il 28 sono sconfortanti (il 29 meno, dato che rinomatamente gli esami di lingua inglese sono puttane).
Non posso pretendere che qualcuno mi capisca. Non mi capisco neanche io. Forse i voti vengono dati così a caso (perché gli esami non esaminano quel che dovrebbero) che non vi confido. Mah? Mah.


Stanotte ho fatto un sogno erotico di un’intensità inaudibile che aveva come protagonista Divara rediviva.
Divara rediviva è Jael Phelps.
Jael Phelps è la ragazza sulla destra nel video che vi linkai tempo fa – quella dal sorriso e dalla risata celestiali.
Quella che non è bella ma è meravigliosa.
Quella che, nel frattempo, ho addato su Facebook, chiedendole se potevo porle delle domande. Mi ha spronato a farlo. La prima domanda teologico-epistemologica è stata posta, ma Jael non mi ha ancora risposto – mi chiedo se mi abbia forwardato a nonnino Fred.
Non le ho posto una domanda teologico-epistemologica per metterla in difficoltà. E neanche perché voglio diventare parte della Westboro Baptist Church.
Mi sono dannata per cercare di spiegare perché io adori questa donna, e non ce l’ho fatta. Sparerei a chiunque la relega facilmente nel ruolo di fanatica traviata da un gruppo di invasati – quindi, come al solito, sparerei al 95% di voi. Beninteso, non vi sparerei perché reputo tale facile catalogazione un insulto all’analisi e all’applicazione dell’intelligenza (quella che fa ragionare con logica, non quella di chi si sente intelligente perché ripudia Dio pensando che il mondo sia diviso in dementi religiosi e in ragionevoli tutti-gli-altri), ma perché Jael è sopra a tutti voi. Non perché sia più intelligente, meglio illuminata da Dio o chi per lui, o perché sia – in generale – un “qualcosa” che possa essere paragonato a ciò che compone le vostre personalità.
Jael è sopra a tutti voi perché ride. Il Dio Che Ride apprezza ciò, ovviamente. Il Dio Che Ride, Jael e Rimbaud mio ospite condividono questo ridere di cose senza darsi noia di spiegare cosa li faccia ridere.
Ora, è molto probabile che io abbia una cotta concettuale per Jael perché, da brava cinica da fumetto, sono entrata in quella fase in cui reclamo una purezza perduta. Può darsi. L’idea di una purezza facile, ossia della purezza di un Eden che non viene messo alla prova da niente e tende quindi più verso la beotitudine che verso la beatitudine, mi annoia. Mi sa di bidimensionalità.
La chiesa a cui Jael appartiene, invece, vive in un mondo creato da un Dio collerico e minaccioso, in cui il 99% della popolazione si scaglia contro di loro. Andate sulla pagina Facebook di Jael e leggete i commenti che le vengono lasciati, per farvi un’idea. Ma tanto potete immaginarli. Li potete immaginare perché anche voi molto probabilmente li fareste.
Ho bisogno di una purezza irriverente. Prendo Jael e mi rendo conto del fatto che è ciò di cui avevo bisogno per Pater Noster, un racconto vecchissimo nato da un sogno e che ho ripreso in mano da poco. La infilo in Pater Noster e lei diventa simbolo massimo del Nemico e oggetto bramato dal protagonista al contempo. Jael che è uno strumento affilato, e farà rilucere l’ideale che promulga. Questo in lei rimiro, non l’ideale. Così le scrivo con gentilezza e rispetto la mia domanda teologico-epistemologica, insinuando una briciola dell’unico peccato che la sua chiesa non ha estirpato: la vanità.
Perché, ricordate, i membri della Westboro Baptist Church sono i giusti, mentre voi andrete all’inferno.
Così scrivo a Jael che scrivo proprio a lei perché è in lei che, più che in ogni altro membro finito in un video, vedo Dio. In lei. Non nel decrepito e onorato Fred. Non nell’alphawoman del gruppo, Shirley. Non in Megan, l’amica che tanto adora, più vecchia di lei.
No, il Dio (Che Ride) è in Jael. È nel modo in cui sorride, nelle labbra e negli occhi, e glielo scrivo.
Non perché voglio che la vanità la faccia tentennare per poi distruggerla. No. Vorrei che crescesse in lei fino a farla divenire luminosa come un profeta auto-eletto – con il mio zampino.
… Ma Jael non mi ha ancora risposto, e mentre attendo – da cinico che si dà alla follia della ritrovata purezza – faccio sogni erotici con Jael, in cui tutto il picco erotico è il modo in cui ride mentre lascia che mi sieda così vicino a lei e le cinga la vita con un braccio.
Forse ho dato all’ironia un ruolo un po’ troppo centrale nella mia vita.
O forse sono una vecchia pervertita.

Nel frattempo, per immedesimarmi in me stessa, organizzo la mia vita in modo da ospitare fanciulli e fanciulle (tutti maggiorenni, autorità, da più o meno tempo) accomunati dall’essere deliziosamente desiderabili. Pregusto l’averli zampettare per casa nel caldo luglio, ospiti miei ma liberi e spronati a sentirsi a casa propria, perché li voglio deliziosamente a proprio agio, liberi di essere quel che sono fin nel più secondario, infinitesimale gesto. Pregusto le forme dei loro corpi contro i miei mobili e il fluire dei discorsi – perché, coevi e posteri, queste creature hanno una bellezza da romanzo, ossia quella esteriore che fa da simbolo a quella interiore. Oltretutto, sono delle creature perverse polimorfe. Serve altro? Ah, sì: leggeremo ad alta voce Rush in Peace.

Rush in Peace procede. Questa sera sono state scritte altre cinque pagine a quattro mani, tra cui un pezzetto che doveva completare il 34° capitolo, e così siamo al 35°.
Nel mentre, mi sono imbattuta in V, una rara creatura che sta scrivendo un romanzo cyberpunk (Cedimento strutturale) a quattro mani con un amico. È una creatura eccezionale perché sta portando avanti un massiccio lavoro di marketing per poter poi vendere l’opera finita (a settembre), la quale è la risposta a un altro must: trovare ogni anno un modo di racimolare soldi da dare in beneficenza. Quest’anno è toccato a un romanzo anziché a una cena o a uno spettacolo teatrale. E questo – il fatto che il romanzo sia in parte il mezzo – mi fa sorridere. Dona al tutto una certa nonchalance.
V è anche una creatura simpatica, e scommetto che – di persona – è una di quelle persone che definisci “carismatiche”.
V ha anche un occhio di falco ed è stato eletto B-reader di RiP – ma questa è un’altra storia. È la storia che vuole che i miei collaboratori siano, di fatto, professionisti già fatti e finiti. Ho, insomma, dei padrini di cui vantarmi. Devo e voglio vantarmi del fatto che siano stati così tanto coinvolti da RiP, perché i giudizi che più tengo in considerazione sono quelli delle persone che stimo.
Nel frattempo, RiP è giunto alla soglia di 50 fans, a cui se n’è aggiunto uno che ho conosciuto dandogli del maschilista retrogrado stupido. Poi dicono che la sincerità non premia.
Ho anche fatto due passettini – due contati – per passare alla fase di divulgazione di RiP. Perché per ora – esclusi quei due passettini – mi sono veramente poco data al cercare gruppi in cui spargere la voce, preferendo dedicarmi ai singoli.
Da una parte so che un “like” in più alla pagina, anche se non sentito, non fa che aiutare il progetto. Dall’altra, quando ho visto che un tedesco si è unito ai fans, ho alzato un sopracciglio.
Fatto sta che non ho ancora chiesto a nessuno di apporre il suo “like” alla pagina di RiP per aiutarmi. Ho chiesto, per aiutarmi, di dare un’occhiata alla pagina e, se ispira, di aggiungersi alla lista di fans e chiedermi i primi 21 capitoli da leggere. C’è una sostanziale differenza in quanto a sbattimento tra la prima e la seconda opzione, ne sono cosciente – e sono cosciente del fatto che la seconda porta semmai a un’evoluzione molto più lenta. Lo so come so che un centesimo dei lettori leggerebbe questo blog se chiedessi, come controparte, di lasciare un commento.
Fatto sta, creature, che devo prima finire di scriverlo. Finché non l’avrò fatto, temo, non saprò che voglio farmene. Nessuno mi corre dietro, e così posso concedermi il lusso di contare sui singoli lettori che apprezzano e quindi fanno circolare la voce. È il lusso della voracità di un feedback trasparente e “sincero”. Ho ripreso in mano RiP sentendomi entusiasmare dal fatto che era stato iniziato senza vincoli – nessun pubblico da compiacere, nessuna regola di genere da seguire in vista di un compenso – e quindi non voglio che RiP si sottometta ai meccanismi del marketing mentre lo scrivo. Lo rovinerebbe, credo.
J, davanti a una birra e un bicchiere di vino (la prima mia e il secondo suo – ma, ovviamente, dato che non esistono preconcetti, a lui era stata servita la birra e a me il vino) mi fece notare come RiP fosse un’opera unica. Ora, questo può essere un bene o un male. Può essere un male come è un male non appartenere a nessuna minoranza vivendo in un Paese il cui multiculturalismo dà diritti in base alla minoranza a cui si appartiene (ciao, Inghilterra). Può essere un bene perché viviamo benedetti dal paradigma dell’unicità, almeno in astratto.
So che non voglio – e finora non mi è successo – vedere RiP masticato da commenti che ne valutano il grado di fantascientificità. Da quando leggo anche letteratura di genere – perché voi, maledetti amici della sottoscritta, scrivete spesso di genere e quindi per seguire voi seguo il genere, l’odiato genere, terreno che raccoglie il più lurido ozio del lettore – inciampo spesso in recensioni che spiegano come mai un’opera X sia fallimentare come giallo/noir/fantascientifico/rosa/whatever. Mi agghiaccia. Cioè, penso un esorcizzante “Chi se ne frega, di grazia, di quanto abbia seguito le regole di un genere?” ma sono agghiacciata.
Mi viene alla mente C e il suo mal tollerare questa società in cui tutti si sentono scrittori e critici. Scrissi a C che vivevo in un interstizio, lo stesso che occupa il suo pensiero: sono fermamente per la posizione che vuole che ognuno abbia il diritto di sviluppare il proprio potenziale, anche il serial killer pedofilo comu-nazista, al punto che odio dover mettere quell'”anche”, ma al contempo rabbrividisco al vedere Emeriti Sconosciuti parlare alle masse come fossero Oracoli della scrittura e della critica.
Mi fa mettere me stessa in questione, chiedendomi se non lo faccio anche io. Dopotutto, se qualche tempo fa scrissi di come volessi vedere Rimbaud pisciare addosso agli scrittori della domenica che si elevano a Gibson del 2011, evidentemente anche io salgo su una qualche forma di altare. (Pulpito, anzi.) Lo faccio anche io? Spero di no. Ma piscerei sugli scrittori della domenica che si elevano a Gibson del 2011. Non ho buone motivazioni da addurre, in realtà, se qualcuno mi chiedesse perché ho cosparso di urina un aspirante scrittore. So che piscerei addosso anche ai letterati che scrivono con alto tasso di Letterarietà e snobbano gli scrittori di genere. Poi però piscerei anche addosso agli scrittori di genere che liquidano le sfaccettature dell’italiano con un “Deve essere comprensibile” (frase stimabile in bocca a Picasso, ma non in bocca a chi sbaglia congiuntivi e fa concordanze a senso mentre parla – checcazzo, un po’ di sincerità intellettuale). Piscerei addosso a un po’ troppa gente per trovare un dato che accomuni tutte queste opere. C’è differenza tra il pisciare addosso all’autore e all’opera? Brucerei gli autori ma non toccherei le loro opere, questo è il punto. E non li brucerei per aver scritto, ma per come giocano la propria parte di scrittore. O di critico. O di whatever. Brucerei anche gli avvocati che danno alla sigla “avv.” il compito di fare da garante del loro valore.
Comunque, pisciatoi e roghi a parte, tengo al fatto che RiP sfacciatamente non badi al proprio tasso di fantascientificità. Adoro la fantascienza, adoro la coerenza, e questo mi fa sbattere a morte per creare un prodotto che sia buono e controllato. Voglio che il critico sci-fi della domenica che l’approccia si dica che RiP è fuori genere. Basta un passettino, al di fuori dal genere, quel che basta per non farlo sottomettere alle griglie che catalogano le opere.
È che, creature, inorridisco al vedere come certi libri siano valutati al 100% sulla base della propria appartenenza a un filone. Libri scritti in modo esemplare liquidati perché hanno mal inteso il genere, e obbrobri che si aggrappano a fatica al minimo sindacale elogiati per essere esattamente ciò che il pubblico di quel genere ama.
Amate Gibson perché è cyberpunk o perché è Gibson?
Offrite la cena a vostra moglie perché è vostra moglie o perché la amate?

Il 51° fan di RiP è stato dalla sottoscritta offeso perché asseriva, sentendosi cavalleresco, che non avrebbe mai colpito una donna, neanche se questa fosse stata alta 1,90 e fosse stata addestrata a uccidere. Gli ho dato del detentore di pregiudizi e del cretino. La prima offesa si riferisce al suo attenersi alla sottaciuta generalizzazione “le donne sono più deboli”, il secondo al fatto che quest’uomo – che pur mi sta simpatico – vive con la possibilità di crepare ucciso da una donna minimamente addestrata. Non accadrà, molto probabilmente. E purtroppo i libri non possono spararvi se li giudicate con la generalizzazione sbagliata. Non possono neanche bruciarvi o pisciarvi addosso. Per questo non piscerei addosso a un libro né lo darei in pasto a un rogo.

1 comments

  1. Il tuo apporto è centrale, ora che ci penso. E’ prezioso: mi hai dato elementi da aggiungere a quelli nati mentre riflettevo.
    Discutevo con un’amica che paragonava quel che sottolineavo in Jael ai testimoni di Geova. Ho avuto solo un’esperienza diretta, a casa, con testimoni di Geova, intendiamoci. Li ho lasciati entrare perché ho raramente occasione di discutere di teologia, e così ho sperato di poterlo fare con loro – e invece non ho potuto, ma amen.
    Alla mia amica ho risposto che non basta essere parte di una “setta” (o “ramificazione secondaria” o quel che vuoi) per diventare una Jael. Se così fosse, mi basterebbe rincorrere sette come un maniaco per circondarmi di simil-Jael. Penso invece che la tipologia di credo – ossia, che sia religioso o politico o whatever – sia secondaria rispetto all’approccio della singola persona. Jael non mi ha colpito perché è iper-religiosa – mi ha colpito il suo sorriso come sguardo sul Creato, e quindi il suo specifico credo è parzialmente andato in secondo piano (e lì, rimasto, ha comunque fatto nascere riflessioni collaterali – sono un’appassionata della Münster anabattista del XVI secolo, ed è anche interessantissimo osservare come la comunità reagisca alla WBC).

    [Ma gli altri, quelli seri, quelli che non riuscirai mai a far scomporre, quelli vivono in un Nirvana che un ateo-nato-ateo non potrà mai capire nè immaginare.]
    Per questo ho difficoltà a far comprendere al prossimo cosa vedo in lei. C’è di mezzo il tabù del fanatismo religioso.

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