français

Piche.

Sono a pezzi, da molteplici punti di vista, in un quadro che dovrebbe vedermi soddisfatta, e così sono a pezzi senza grandi ragioni per lamentarmi – e con poco tempo per farlo, ossia per affliggermi a voi.
Sono malata, e non mi stupisce. Deve essere proprio una questione di spazio vitale. Alla medievale, intendo. Una persona è malata e si ammalano tutti perché lo spazio vitale è ristretto e il contagio è veloce. Molte persone sono malate, mi dicono. Siamo patriottici e condividiamo. Ieri ho condiviso un treno in cui lo spazio vitale a disposizione era minore dello spessore della mia cassa toracica – frase involuta per dire che eravamo pressati come sardine. In tedesco si è pressati come aringhe. Beh, avete capito il concetto. E ho avuto paura, sapete? Perché ero malata. Da una parte mi sono chiesta quante persone avrei contagiato, dall’altra mi sono chiesta se – fossi dovuta svenire – qualcuno mi avrebbe raccolto. Poi c’è la spinta della folla, quella anonima, che preme da tutte le parti, ed è inutile dire al tizio che ti spinge di smetterla, perché è spinto a sua volta, e chi – quattro metri più in là – ha la fortuna di non essere compresso si guarda attorno con noncuranza rivolgendo occhiate impietosite e sprezzanti alla massa sottovuoto. Chi ha detto che un male comune unisce la comunità? Risveglia la nostra tendenza ad aiutare? Eh? Eh, Milano.
VB scrive per me, nel senso che io non ho il tempo né la facoltà di farlo, così lei scrive e io mi ritempro leggendo. Io stenografo lezioni. Socializzo con studenti stranieri. Il mio inglese è andato a puttane, sia a livello di struttura che di lessico che di fluency. Ci ha messo veramente poco, c’è da dirlo. Chissà come sta il tedesco. Mi manca, sapete? Il tedesco ha un po’ questo ruolo di patria sentimentale per me. Rispecchia la mia visione del mondo adolescenziale – ossia, nell’adolescenza pensavo e scrivevo come uno scrittore tedesco medio, seghe mentali in primis comprese.
Il tedesco mi ha dato metodo, ma era prevedibile. Ha avuto il senso per cui lo studio del latino viene spacciato come utile: dà logica, struttura. Strutturo lo studio del francese schematizzando la fonetica e mi trovo a saper pronunciare parole di cui non conosco il significato. La madrelingua mi ha fatto i complimenti adducendo la riuscita lettura a miei studi precedenti, e può darsi che il francese studiato e rimosso al contempo alle elementari sia rimasto da qualche parte nel mio subconscio, ora risollevato da un’applicazione precisa dei fonemi. Le nasali mi danno problemi, perché non ho ancora collegato il simbolo IPA al suono. Ci lavorerò.
Inglese mi deprime. Esercizio in classe: ascoltare un discorso e rispondere a domande su di esso. Le domande vengono appuntate e se vuoi puoi appuntarti la risposta e poi leggerla. Signori, è inglese III. Appuntati la risposta e leggila. Mi rifiuto, fatemi fare errori dovuti al fatto che non ho un testo a cui riferirmi, grazie.
Molti corsi sono interessanti, invero. Il problema è l’opera di stenografia, quel senso di dover appuntare per poi ripetere all’esame, quello svilente senso. Kiel mi aveva non poco responsabilizzata con mia gioia: il sapere devi costruirtelo tu con i tuoi mezzi ricercando le informazioni che ti servono, non ti viene semi-dettato già pronto, non senti di dover fare un favore al docente ripetendogli quello che ti ha precedentemente passato. Un corso, un docente, trecento persone, trecento fotocopie di un programma. Tutto ciò deresponsabilizza. Discorsini pre-corso in cui ti spiegano per quale morale motivo non dovresti fingerti frequentante se sei non-frequentante, che va a tuo discapito, bisogna che ti si spieghi perché va a tuo discapito, tutti in fila come alle elementari, seguiamo il metodo appena detto perché siamo tra i pochi ad aver sviluppato un metodo anche se nessuno ce l’ha chiesto e quindi adesso voi lo seguite, capito? Pioveva in aula e volevo farvi vedere un video ma il browser mi notifica che devo installare un aggiornamento ma non posso, non posso perché se qualcosa va male e il computer si becca un virus poi è colpa mia, non vogliamo responsabilità, non voglio responsabilità, quindi mi lamento del disservizio e lo dico svogliata ad alta voce mentre al contempo, visto che ci sono, lamento la mia insoddisfazione dovuta al fatto che approfittate di questo problema tecnico per fare un casino infernale in aula. Tutto messo assieme e assieme buttato fuori, la dignità a puttane assieme alla responsabilità. Oh my. A un altro docente riesce di aprire youtube, ma clicka invano sul video e non si apre. Come fare? Provi a clickare sul titolo, gli dico, lo fa e funziona e mi dice – con mal accettata consapevolezza di non saper usare “questi computer” (fai un corso di aggiornamento) – che si vede che “voi giovani ne sapete, ma come fate a sapere?”, e io non so, proprio non so nulla, vado a tentativi per cercare una soluzione, e anziché clickare dieci volte sul video lamentandomi dei mali del mondo tenterei altre vie e proverei a clickare il titolo, magari funziona. Toh, funziona. Eh, maledetti computer.
Sì, sono intollerante.
Ho proposto alla docente che doveva installare un aggiornamento che non voleva installare di collegare il mio netbook, che di “problemi” non ne aveva. Ho imparato a farlo a Kiel a furia di presentazioni. Ma non sia mai, mettere mano a quegli aggeggi informatici che nessuno tranne l’addetto pagato per prendersi responsabilità può toccare. Magari esplodono e mi uccidono e poi è colpa della docente.
Sigh.
Bulgakov era profetico.
Io socializzo con i vicini di banco e tento a battute di spirito di comunicare loro che non devono accettare tante cose, che sono degradanti, che è loro diritto e dovere indignarsi. Un esausto docente si trova a inizio lezione davanti a una fila di persone che vogliono farsi firmare il permesso per passare a un altro corso. Il docente in questione ha creato un metodo: devi scrivere, a mano, la richiesta e fartela firmare e controfirmare. Non è accettata la richiesta via e-mail. Perché? Questo non lo spiega. Il sistema italiano prevede una frequenza allucinante (per questo non ho tempo, devo stenografare per un sacco di ore) e tu non puoi avvalerti delle e-mails. Il docente in questione vuole iniziare esattamente alle 16:30 e quindi lamenta, con il rispetto di un ufficiale dinnanzi a un plotone di contadini in mal arnese, che vogliono ostacolarlo. Il plotone di studenti ascolta in contrito silenzio la lamentela, e io mi chiedo quanti tra loro non avessero la più pallida idea circa il fatto che non fosse previsto chiedere la firma all’inizio della lezione e andasse fatto a fine lezione. Di sicuro tutti quelli che non erano presenti la volta precedente. Tale informazione non è scritta da nessuna parte. E assisto allo spettacolo di costoro che ascoltano in silenzio un’accusa lanciata ingiustamente, ingiustamente perché alla massa. Bastava un “Spiacente, devo iniziare la lezione, dovreste venire a fine lezione”. No, meglio andare sul paradossale e spendere due minuti per lamentarsi del fatto che il mancato seguire le presupposte procedure fa perdere tempo. Un docente che accusa generalizzando può far incazzare (e mi sta simpatico, lui, di base), la parte degradante è il silenzio del plotone.
Ma non erano i crucchi quelli integerrimi e aggressivi e che mettono soggezione? Non erano i crucchi il popolo di pecore? Oh, odio la metafora delle pecore, troppi italiani docenti offensivi l’hanno utilizzata. Con uno, ricordo, ci litigai. Diede alla classe del gregge di pecore perché nessuno sapeva dare una definizione di “arte”. Ci litigai. Me ne andai in bagno incazzata come una pica (mi mancano anche le piche, tra l’altro). Litigai spesso. Beh, un po’ mi divertiva, lo ammetto, facevo pausa dal lavorare a noiose tavole da riempire di monocromatismi e sollevavo questioni molto più interessanti di quelle becere previste dal programma.
Andiamo a svenire.

Going to study International Law. Just came to an end with the German History book. I’ll summarize it, chatting with Capi, but the first step has been completed.

The cute boy called Ivy wrote:

Ivy: I’m going to kill you when i get back home in an hour or two.
Ð|ØSB|ØS: It’d be a pleasure, but I must study.
Ivy: Fuck that.
Ð|ØSB|ØS: I’d rather fuck you.

It’s love.

I spent this evening studying and reading stuff with deacissy. She had to learn numbers in German, and thanks to this I’m still thinking in German (auf Deutsch, yeah). I should study it and double Konjuktiv II, but I keep doing exercises correctly without understanding what I am doing. Annoying, isn’t it? Like the book were mocking me.

I’m still reading The Kindly Ones. It’s – like other books about the WWI and the WWII I read – an accurate account of someone’s life. A German soldier’s life, who writes everything happens to him in the supposed “German way”: accuracy and a beholder attitude. “Beholder” not as “bystander”, not exactly: the main character happens to be inside what’s happening, it’s part of the device and cooperate with it. He acts, and therefore stares at his actions. Gemini attitudine – I’ve no choice, I do feel empathy, and I suppose empathy is what the writer wanted to call forth.
The main character presents himself as a “common man”, and the fact that in English “common sense” is:
… the basic level of practical knowledge and judgment that we all need to help us live in a reasonable and safe way…
… Makes me think about the way we use words.

I asked Dea to photocopy the phonetics chapter of her French book.