Ciao, oh Blog, come stai?
Fall is coming e mi tornano i Rammstein nelle orecchie, soluzione B dopo i semprecari Ulver (il sempre&ossessivamente Perdition City) per scrivere un racconto che m’incespica sull’incipit. Capita, quando la distanza tra te e quello che scrivi è troppa o troppo poca. Ambo le cose, in questo caso.
Fall is coming, ripeto, anche se ci siamo già in mezzo. Ma il mondo esiste quando lo guardi – o quando ne scrivi sul tuo blog, per alcuni. È strano andare in stand-by con se stessi, non è così? Poi ti tocca farti domande senza riuscire a risponderti.
Ok, riproviamo.
Ciak 2.
Ciao, oh Blog, come stai?
Il racconto è a tratti così vicino a me che mi risulta inverosimile scriverne come se fosse fiction. Ma ripetersi che life is stranger than fiction smette di liberarti l’animo dopo un paio di volte. Suona amaro in bocca già alla seconda. Non amaro-amaro, di quel gusto che ti fa contrarre la bocca in spasmi, no. È più un retrogusto amaro, come un cetriolo la cui dolcezza è stata rovinata da quella nota dissonante solo sul finale. Inutile, insomma. A che cosa serve un cetriolo non dolce, essendo il cetriolo nutrizionalmente ridicolo?
Ho un umore da Reise, reise (Rammstein, l’ho detto sopra), ossia il miglior umore a cui potrei auspicare ora. L’alternativa è soffermare lo sguardo sull’enorme ape che prima si è posata su un fiore davanti ai miei occhi, soffermarvi l’animo, ricordare quella che ho ucciso qualche giorno fa perché – in fondo – aveva osato ronzarmi di fianco all’orecchio. Potrei dire che l’ho ammazzata (con cura, velocemente, uccidendo anche il dubbio potesse rimanere viva e sofferente) per evitare che pungesse una delle bestie di casa. Sarebbe vero, retroattivamente. Sarebbe vero in generale. Non lo era in quell’occasione: l’ho ammazzata per indignazione e fastidio e arroganza – salvo poi contemplarne un’altra, la sera, starsene cocciutamente sulla tende, ignorando la mia presenza, e sentire un po’ di Weltschmerz intorbidirmi l’orizzonte.
Quanto faccio finire in un’ape pur di non farlo finire altrove?
E quant’è triste che l’ape divenga un mero recipiente, scelto per la sua utile piccolezza, che più di tanto non può contenere e mostrarmi?
Ciak 3.
Ciao, oh Blog, come stai?
Bene.
È questa la verità più tangibile (perché, insomma, l’umore da Reise, reise ha un che di contemplativo che non mi spiace affatto), e per questo vi rifletto.
Perché sto bene.
Ho preso quest’abitudine, da qualche tempo a questa parte, di monitorare il mio benessere. Non è paranoia. Beh, diciamo che non è solo paranoia. È che la distanza tra beatitudine e beotitudine, tra la pace dei sensi e il loro seppellimento, è un soffio. E io ci tengo a certe cose, come ad esempio il sapermi gustare un vino dal gusto intenso o un’intensa percezione.
Il problema, insomma, è che non so su quale contrasto verta la faccenda. Non sento cose che però esistono e ho seppellito, o non le sento perché non ci sono?
Monitoro il mio benessere perché non conosco gli effetti dello stand-by quando lo usi tra te e te. Permette di accedere a una forma superiore di immanenza, vivendo sempre hic et nunc, o è un bisturi in mano a un delirante chirurgo?
Chi vivrà, saprà.
Intanto, ho voglia di corteggiare – che sta a me come il volgersi di un fiore verso il sole sta alla sua voglia di abbeverarsene.