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Praat julle Germaan?

Mi pare un’eternità dall’ultima volta che ho aggiornato, e invece sono stati pochi giorni, benché lunghi, e per nessun motivo particolare.
È tornato il freddo.
A Kiel, l’anno prossimo, farà molto più freddo.
Mi hanno preso per l’Erasmus a Kiel, e io ora vorrei disquisire elencando descrizioni e informazioni su questa città sul Baltico, ma non ne ho poi così tante, e ciò forse aiuta nel darmi quella lieve rarefatta gioia da ignoto.
I tedeschi sono tedeschi e gli italiani sono italiani – e mentre l’e-mail dall’università italiana non mi è ancora giunta, ieri (domenica, tengo a sottolineare) ha scritto un professore da Kiel. In tedesco. Anche qui ha compartecipato il fascino dell’ignoto, soprattutto il panico di dovergli rispondere in crucco.
Ma Murphy, si sa, è Murphy.
Ho scritto la risposta a orecchio, traducendo un paio di termini mezzo dizionario, e l’ho data in pasto a Sebastian (madrelingua) perché me la correggesse.
Mi ha detto che era perfetta, non avrebbe saputo fare di meglio, quindi in automatico non mi sono fidata e l’ho data in pasto a Camilla, che ha ribadito, dicendo che a volte una pausa aiuta a riassestare la conoscenza di una lingua, ma sei mesi di vuoto sono considerabili una pausa?
Meglio così.
Kiel è sul Baltico. Per me ciò significa molto. Per chiunque abbia studiato per anni vicende di sporchi barbari in nave, soprattutto svedesi, il Baltico significherebbe molto.
E poi è mare.
Se lo guardi stando sulla spiaggia sembra non avere fine. Puoi ricordarti che oltre c’è della terra, poi ancora mare e poi ancora terra, ma così a occhio è mare e basta, e questo stare sul mare mi piace. Mi conforta. Perché? Boh. Ha importanza?
È un piccolo sogno, un’università del genere. Non è difficile fantasticare su un’università estera, essendo abituata a quella di Milano. Puoi permetterti di farti aspettative, tanto sarà di sicuro meglio di quello che hai. Almeno per infrastrutture.
E poi sono tedeschi.
Il che significa che non sono italiani.
E forse scoprirò che non potermi lamentare dell’umanità con cui convivo mi sottrarrà un ruolo interiormente fondamentale, forse scoprirò che invece è solo una barriera oltre cui non sono mai andata – e, se l’ho fatto, non ricordo bene come fosse.

Ho avuto le foto di Sna con bambina. Magari ve le offrirò in pasto, non appena le avrò tutte. Intanto, Sna con bambina ha questa faccia di chi sa cosa deve fare e sa come farlo, e se non lo sa sa che troverà un modo. Sna con bambina non ha gli occhi su di sé, e già questo è strano.

Ho fatto il logo a questo forum di gioco di ruolo, in cui sto anche giocando.
Collaborare con Capi rende l’inserimento in un gioco di ruolo molto semplice e veloce: riusciamo a delirare con metodo e ad alta produttività in poco tempo (sottotitolo: a fare cazzate sei bravissima).
L’epoca vittoriana non mi entusiasma (ha smesso di farlo verso i miei 18 anni), ma capita che in quegli anni ci siano giacimenti minerari appena scoperti e guerre anglo-boere, e così capita che io faccia tre PG con un filo conduttore: diamanti.
Un tagliatore (così m’impratichisco con le scale di qualità delle gemme, che male non farà), un analfabeta boero finito a Londra (e se continuo così imparerò l’Afrikaans, che pure male non farà, wat dink yj?), un primogenito ripudiato, che era primogenito dei Dunkelsbuhler, che è la famiglia di gioiellieri presso cui lavorò Ernest Oppenheimer da giovane, e da cui fu spedito in Sud Africa.
L’Afrikaans ha lo stesso word order del tedesco, si declina quanto io sono eterosessuale e la parte più difficile è il plurale dei sostantivi (perlomeno per me).
C’è da dire che i pidgins hanno un fascino tutto loro, dovuto al fatto che sono grammaticalmente una stronzata e sono emanazione semi-diretta di una cultura, nel senso che essendo giovani funzionano poco a convenzioni grammaticali.

Lo studio di interpretazione di trattativa fomenta il relativismo culturale del mio pensiero – e ribadisce l’importanza del role play, mentre studiando gioco di ruolo su MSN.
Testo partorito da una generazione di new-age mediatrici linguistiche, insiste sull’importanza dell’aspetto psicologico. Elenca metodi per risolvere l’ansia, sia risolvendola alla radice che agendo sul corpo.
A parte un paio di termini e concetti nuovi, è un ripasso.
(Che dovrò tradurre in termini inglesi, dettaglio.)

Due persone su MSN mi chiedono una mano per completare la loro scheda del personaggio. La realtà dei fatti è che serve loro una mano a farlo, il personaggio, a dargli forma. Procedo a domande mirate e osservo i processi mentali altrui. Alla fine dico: “Sono cinquanta euro per la seduta psichiatrica.”

La cura che le autrici della raccolta mettono nel sottolineare l’importanza di cose come “ansia”, “capacità sociale”, “postura”, “lettura di segnali paraverbali e cinestetici” e via discorrendo mi commuove – mi commuove, cioè, che queste siano le mie ultime preoccupazioni (Dov’è il mio pulpito? Dov’è il mio tavolo operatorio?), e io sia invece incapace non solo di tradurre dal tedesco all’italiano a voce, ma anche di capire il tedesco, parlato o scritto che sia.
Tanz dal Fronte mi manda cartoline intimidatorie, in tedesco. Così le ignoro meglio, e il mio senso di colpa monta. Si sgonfierà come un soufflé? A volte capita. Dopotutto – si sa – i miei sensi di colpa sono messe in scena molto convincenti.
È che non trovo l’ago, nel pagliaio, per bucare il soufflé.

Il gioco di ruolo stimola l’inventiva, e raddrizza il mio italiano stortato da tedesco e inglese.
Il taccuino sta venendo usato, e questa notte quattro ore sono volate come non accadeva da tempo, volate scrivendo.
Abbiamo ripescato Sedlacek, da adulto però, in quel di Praga. Le note a margine mi suggeriscono di informarmi da che piano in su nei grattacieli le finestre non si aprono con un click e di recuperare dettagli citabili su Guantanamo.
Io invidio, invidio tanto chi riesce a sfornare racconti senza doversi ogni volta documentare. Invidio chi ha settantanni e ha le basi per scrivere un’ampia fetta di fiction. A volte mi trovo a voler scrivere di settori e sentirmi come se dovessi scrivere in inglese: mi manca il lessico. In italiano, però. Oltre che le informazioni.

Mh.

Commentate, please. L’originale sarebbe questa, e sono ben cosciente del fatto che c’entri poco.


Ieri sera, studiando una Storia della Germania (tra le più pallose credo siano mai state scritte) ho fatto quella cosa che credo si chiami “GDR via MSN” (notate come prendo le distanze? Bene) in pieno cazzeggio scaturito da un “Quant’è pallosa questa Storia della Germania“.
Il fatto che un certo Sedlacek sia personaggio-perno dell’Acero, me lo fa capitare tra le palle diverse volte ogni settimana. Sedlacek era nato dal mio odio per gli avvocati così come Horton era nato dal mio odio per i poliziotti – sulla scia della filosofia del “conosci il tuo nemico”, che si tramuta in “com-patisci il tuo nemico”.
Amo il GDR come amo il disegnare: ambo le attività portano su carta (o su schermo o su labbra) la personale interpretazione del mondo. Il mio disegnare è viziato e capriccioso, quindi non si fa sottomettere dalla committenza – nel disegno sono la classica persona che non può decidere a priori cosa disegnerà, perché è l’ispirazione a muovere il tratto – nel GDR è diverso. Da che ne ho scoperto l’uso in ambito psicologico/psichiatrico, il GDR è diventato una dissezione delle mappe mentali umane (mia compresa).
C’è stato un tempo (eoni fa, nella mia percezione; tra i 5 e i 10 anni fa, nella RealtàDiFatto) in cui lo usavo per prendere padronanza con le infinite possibilità caratteriali. Creavo personaggi fatti apposta per combattere mie paure o insicurezze – poi ci ho preso gusto, differenza tra uso e abuso, e a tutt’oggi uso il trucchetto del “facciamo come se…” dinnanzi a una situazione sociale tesa.
È una strana forma di dialogo con se stessi, il GDR, e diventa qualcosa di paradossale quando le varie proiezioni di ogni Sé interagiscono tra loro giocando. Qualcosa di così complesso da concepire nel suo insieme da farmi girare la testa.
Anyway…
Giocavo il nostro beneamato Sedlacek, personaggio moralmente infelice, ma il cui modo di rapportarsi al mondo non differisce dal mio attuale. Passare un’ora usando un personaggio anziché usare se stessi ha i suoi lati positivi: ci si può osservare meglio. Se poi lo fai scrivendo, hai tutto il tempo di riflettere.
Ho osservato il distacco che genuinamente Sedlacek mantiene con il restante mondo. Il suo distaccarsi è faccenda intima, perché nella sua RealtàDiFatto è una persona socialmente aperta. In questo mi somiglia, questo gli ho inflitto di me – e lo osservo messo dinnanzi a una situazione non-sociale ma intima, come cerco di osservare me ogni volta che mi si richiede (ogni volta in cui sarei supposta avere) un atteggiamento non di distacco. Ad esempio, il baciare qualcuno, cosa che mi viene esponenzialmente sempre più innaturale – e il riflettervi mi fa scovare tutta una serie di sfumature solitamente non necessarie da contemplare nella quotidianità.
La sfumatura tra un bacio e una scopata, ad esempio. Insomma, cresci con una mappa mentale (è colpa della PNL se blatero di mappe mentali) che vede il bacio come complemento obbligatorio nel sesso, poi un giorno questo collegamento viene meno, come una figurina scollata che cade dall’album, e tu ritorni alla domanda: “Cos’è un bacio? A che serve? Come nasce? Che comunica?”
Ho alle spalle un lungo loop relativamente a queste domande. Ficcare in Sedlacek la questione non mi dà risposte logicamente relative, ma osservarlo mi fa pensare, inaspettatamente, che c’è un che di patetico in quel suo freddo e naturale distacco. Mi sorge, osservandolo, la domanda: “A che serve quel distacco? È paranoide.” (Paranoia è il Leitmotiv del periodo, sì.) E penso: “OMG, sono patetica?”
Ma soprattutto: “È veramente sensato mettere in dubbio il proprio distacco se lo si sta facendo nel timore di essere patetici?”
Ahhhh, quante seghe mentali. L’importante è sapere di starsene facendo, così che la volta seguente si possa evitare.

Avrei voglia di studiare storia tedesca su quel pallosissimo libro, che non è abbastanza palloso da spegnere la mia passione per la storia e per quella tedesca. Sono a Kennedy che dice “Ich bin ein Berliner” e non inganna nessuno dicendolo, a detta dell’autore. Sono alle porte del Muro, alle porte della parte che più mi angoscia della storia tedesca, molto più della Seconda Guerra: la DDR (Deutsche Demokratische Republik) e la mia accesa domanda “Come cazzo hanno fatto a farsi così?”. Nella Seconda Guerra vediamo un popolo tedesco figlio della propaganda – ma poi la Seconda Guerra esplode, fa “BOOM!” e tutto crolla.
Invece, cazzo, la DDR va avanti decenni.
C’è un che di molto romantico in una Berlino spaccata a metà come simbolo della Guerra Fredda (lo stesso romanticismo della Corea e del Vietnam, solo che nel caso di Berlino si ragiona orizzontalmente e non verticalmente), intendo: un romanticismo come cosa romanzabile. Un tema abbastanza consistente da poter stare al fianco di tutti quei temi che fanno dire “non viene mai scritto nulla di nuovo”, come il tema della fine del mondo, o del protagonista che cede alla corruzione, o della lotta tra padri e figli o – in questo caso – di una città spaccata a metà come esatto microcosmo del macrocosmo “mondo”.
Un evento che rimpiango di non aver visto: il crollo del Muro. Il mio amore per l’abbattimento delle divisioni per genere avrebbe colmato il mio cuoricino in quel momento – ma subito dopo viene “Wir sind ein Volk”, Leitmotiv vecchio nelle germaniche terre e con lati che mi ispirano non poca inquietudine.

Sto cercando i protagonisti della storia. C’è chi dice sia il popolo, chi sette segrete, chi i grandi uomini sugli scranni – e io non so chi sia protagonista nella mia visione storica. Non so neanche se c’è spazio, per protagonisti, nella mia visione storica, Miss Casualità a parte.

Vorrei studiare la storia tedesca, ma mi aspetta la lingua.

Vi lascio una canzone della voce più languida che conosca (a parte, beninteso, quella che dentro di me mi sussurra promesse):

Right.
… Right per nulla, in realtà, avendo passato gli ultimi giorni a creare un forum anziché studiare.
Per questo, e per frenesia di base, e per frenesia aggiunta data dal pensare che avrei dovuto finire in fretta per poi studiare, credo di aver battuto un record: costruzione forum + grafica + invenzione e costruzione di un sistema di gioco in 4 giorni.
(Non da sola, eh. Ho avuto il supporto di qualche angelo in carne – e quindi, in quattro giorni, sono anche stati fatti 15 personaggi, con scheda a posto, già inseriti nel sistema.)
Quindi, signori…


L’Acero Rosso è aperto

Io e gli altri moderatori faremo un primo topic in-game per mostrare come funziona il sistema di gioco, e “presentare” l’ambientazione e i personaggi già esistenti. Nel frattempo, chi vuole può girare per il forum e capire se vuole fare un personaggio, farlo, sottoporlo al forum.
Ci sono due “scogli”: il sistema di gioco ha una parte macchinosa, con però il pro che i giocatori non devono leggersi tutte le giocate ma solo quelle in cui giocano; la burocrazia studentesca, che – benché io ribadisca che l’ho fatta semplice – non è proprio-proprio intuitiva.
Se i miei calcoli sono esatti, diviene automaticamente comprensibile nel momento in cui si viene inseriti all’interno. Ho progettato la burocrazia interna, distribuendo il potere (legislativo, giudiziario, esecutivo) secondo la visione di Foucalt (Sorvegliare e punire). Suddivisione gerarchico-modulare, con ampio potere e responsabilità a ogni capo-gruppo – che così continuamente deve sorvegliare e viene sorvegliato da chi vuole detronizzarlo. Quando una persona viene inserita nel sistema, sa da subito chi gli è sopra e chi gli è sotto – e, se se ne sbatte di memorizzarlo, la continua sorveglianza funge da minaccia. Il potere si manifesta applicandosi nelle punizioni, o nelle minacciate punizioni, e si incarna nei suoi rappresentanti, dai diritti e doveri ben evidenti.
Facendo partire il gioco con, nelle posizioni di potere, personaggi che abusano del potere che hanno, i giocatori saranno da subito spronati (per istinto di sopravvivenza) a cercare di detronizzarli, a capire come possono avere potere su di loro. I personaggi che entrano nel sistema in posizione di potere, invece, saranno subito spinti a cercare un modo di tenere basse le testoline dei sottoposti. Serpente che si mangia la coda.
Se i miei calcoli sono esatti, essendo il Regolamento onnipresente benché esiguo di regole, ed essendo prima tra queste la regola del “cane mangia cane”, ma essendo questa una meccanica sottintesa, i personaggi si modelleranno automaticamente giocando, e modelleranno (avendo potere nella gerarchia, sempre, anche stando all’ultimo gradino) l’ambientazione, ribadendo il “cane mangia cane”. Le poche ma non abbattibili regole dell’istituto pongono dei limiti invalicabili, al cui interno i personaggi possono aggiungere e modificare sotto-regole. Sistema fluido in continuo cambiamento che non dovrebbe neanche più necessitare direttive dall’alto. (I PG-Prefetto dovranno assicurarsi che i PG del loro piano non vadano contro il Regolamento, o il PG-Prefetto in questione sarà pubblicamente punito dai docenti-moderatori.) I giocatori/personaggi si sentiranno così liberi di auto-gestirsi, ma in realtà lo saranno all’interno del ben delimitato sistema.
Se i miei calcoli sono esatti, sono una psicopatica che fa esperimenti sempre.

Quando viene creato un personaggio, al giocatore vengono dette tutte le coordinate del personaggio: con chi è in stanza, qual è il Prefetto del piano; con chi è in classe, chi è il Rappresentante di classe; quali studenti trova nei club.
Può sempre ricontrollare queste informazioni: sono pubbliche.
E sono pubbliche le schede dei personaggi, quindi il giocatore sa con quali PG il proprio PG ha a che fare.

Le schede pubbliche dei PG, conoscendo il parco umano di giocatori, servono anche a invogliare a giocare. (Sono io l’unica testa di cazzo che si lascia invogliare dalla scalata al potere simulata, e dai simboli e dalle metafore, prima che dai personaggi.)

Per quanto concerne il sistema di gioco, ho cercato di fare un sistema a prova di coglione.
Quando il giocatore fa una scheda, nella spiegazione della scheda è spiegato tutto (oppure è fornito il link con gli elenchi da cui scegliere, in cui è spiegato quello che non è spiegato nella scheda). Quindi, a meno che non legga di proposito, sarà seguito passo passo dal sistema di gioco senza che nessun admin o moderatore debba seguirlo) – ed è ribadito che admin e moderatori sono a disposizione per ogni dubbio.
Credo che questa “indipendenza del sistema” sia dovuta al fatto che ho strutturato il tutto pensando che poi non avrei avuto troppo tempo per seguire il forum, e quindi questo avrebbe dovuto funzionare “in automatico”.

I giocatori diventeranno in automatico produttori di simbologie, perché le azioni sono sempre correlate da simboli: un Prefetto si riconosce dall’anello che porta, uno studente del secondo anno dorme nell’edificio del secondo anno, a un’infrazione segue una punizione (e dovendo le punizioni ufficiali rientrare nelle comune leggi umane – quindi niente frustate – ed essendo le punizioni proposte anche dagli studenti, saranno simboliche per essere umilianti dove non possono essere fisicamente deleterie).

Bisogna ora vedere se il tutto funzionerà. Intanto, alcuni giocatori hanno cominciato a creare i personaggi. I cinque membri del Consiglio sono in mano ai cinque moderatori, e sono… belli. Sto lavorando con ottimi giocatori (e tutti sono stati da qualche parte master), grandi creativi dotati di creativo spirito di iniziativa. Potremmo tranquillamente giocare tra noi, e questo dovrebbe assicurare che i futuri giocatori saranno spronati.

Un GDR con l’atmosfera del Törless + Rule of Rose, con la simbologia di Utena, le tematiche sviluppate simbolicamente alla Silent Hill.
Ho scritto a chiare lettere nel regolamento che non è un GDR per minori, e che PG e giocatore sono cose ben scisse: se tutto funzionerà come deve, questo GDR sarebbe letale per chi non sa scindere. Il nostro piccolo parco giochi con pena di morte.


Ieri sera pareva che il boiler si fosse fottuto, invece funziona, e io sono felice: era da quattro giorni che non mi facevo una doccia, i miei capelli erano quasi pronti a prendersi le pulci del cane, i vestiti a essere bruciati.
È arrivato l’autunno: questa mattina si esce in stivali – notizia buona della mattinata, che vede questo esame scritto di tedesco per cui io non ho studiato (o meglio: ripassato, con sostanza). Conosco il meccanismo: sono obbligata a fare una cosa in certi termini di tempo, quindi il mio cervello la fanculizza. Scomodissimo, veramente. Mi odio, quasi. Mi chiedo se per una settimana all’anno posso permettermelo – potrei, ragionevolmente – posso, essendo proprio questa settimana? Sono una terrorista del mio stesso sistema.
Ho cercato di creare quel forum senza lasciare questioni in sospeso, così non avrò altre cose con cui perderci tutto questo tempo.
Ho mal di schiena: erano mesi che non passavo tutte queste ore, di fila, davanti al PC e basta. Parentesi nerd, e scopro: ecco perché soffrivo di mal di schiena.
Sono felice di essere una primadonna sociale: questa mattina avrò tante persone da salutare e con cui parlare, e non penserò all’esame imminente. Ricordarsi, comunque: bere una redbull. Anche due. Ecco: prendere guaranà. […] Guaranà preso. Integratore già preso. Ho voglia di scopare, quasi. Dopo quindici schede di quindici turpi personaggi nel pieno dell’età ormonale, pronti ad accoppiarsi promiscuamente (donne con uomini, uomini con uomini, donne con donne – quasi nessuno conosce Utena, ma inconsciamente l’hanno ricreato da dio) ho quasi voglia di scopare – ed era ora, dirà qualcuno. (Solo che ho voglia di scopare gente in età ormonale: ecco il contro.) Bere un altro caffè – vi sto mettendo in ansia, eh? Eh?

Biglietti per l’Oktober presi: oggi pomeriggio farò una lista delle cose utili & indispensabili. Tipo: un lucchetto. Un lucchetto da regalare a Sebastian. Non ricordo come fosse uscita questa cosa del lucchetto, sinceramente – aveva qualcosa a che fare con Dachau.
Sebastian segna tacche ogni volta che dico qualcosa che non gli piace (“crucco”, ad esempio; non gli piace la parola “crucco”, né essere chiamato tale), che dovrebbero corrispondere a sculacciate. La cosa mi fa sorridere (sarà perché se qualcuno cerca paternalisticamente, pur se con ironia, di sculacciarmi, reagisco in automatico prendendo di mira il naso). Mi fa sorridere che Sebastian mi tratti da giovincella perché lui da trentenne si sente vecchio. Mi fa sorridere che mi tratti da persona con mille esigenze perché lui ha girato il mondo con la chitarra in spalla. (Io continuo a ribadire che ho le esigenze di un cane non troppo viziato, ma lui continua a premurarsi di offrirmi tutte le dettagliate informazioni del caso – tipo che, se beve troppo, non sa se riuscirà a guidare fino a casa. Dettagli, insomma.) Mi fa sorridere il fatto che non si sappia una benemerita sega uno dell’altro, e sorridere con piacere il fatto che questo sia abbastanza ininfluente.
Gli ho domandato, a seguito della sua serata storta, se ci fosse qualcosa che non gli andava in me, gli ho detto che non volevo certo essere ospitata per eccessiva gentilezza, etc etc… Mi ha chiesto:
“Ti piace la birra?”
“Sì.”
“Ci divertiremo.”
Mi piace quest’atteggiamento easy (che sottintende brusche risposte easy nel caso ci si scazzi, non poco sgravante). Forse, mi serve. Per interessi mi trovo ad avere a che fare con una fauna intellettuale e quindi tendenzialmente “delicata”, ma socialmente necessito scimmie dirette – ed è difficile trovare scimmie dirette e abbastanza curiose (son scimmie, dopotutto) da avere quella “cultura” che non è fatta di nozioni ma domande – e poi, ha la tipica faccia da crucco, il che mi fa piacere.

E ora, beccatevi la parte 2 di quella parodia sull’ultimo Joker che vi postai tempo fa:

AMO quest’uomo.

L’Acero Rosso – GDR.

C’era una volta, da qualche parte nel mondo, una notte felice e un giovane Maestro d’orchestra.

Il Maestro d’orchestra era un uomo fortunato, perché Dio gli aveva concesso una bella donna d’amare, da questa notte fino alla morte.
Il Maestro sapeva bene che la sua era una gioia preziosa e fragile, perché Signora Arte è una matrona dispotica e gelosa e chi ne viene amato ha un marchio impresso sul destino.
L’uomo aveva tirato fili in molti concerti, ammaestrando gli strumenti alla propria volontà, ma mai aveva ceduto alla tentazione del burattino che – vedendo la propria ombra muoversi – crede di essere il burattinaio…

L’Acero Rosso, il Gioco di Ruolo
(Coming soon!)

Al momento potete leggere la presentazione e qualche informazione, vedere la grafica e cazzeggiare in tagboard. Ancora poco, e sarà pronto.

Cenere.

“Non vorrei trovarti a controllare che la cenere di un amico mi stia cadendo sul letto.”
“Potresti usare un posacenere come tutti.”
“Se scopo è l’ultimo dei miei problemi dove finisce la cenere.”
“Se scopi non fumi…”
“Provato?”
“Come faccio a sapere se lo hai provato?”
Tu hai mai provato?”
“O scopo o fumo, altrimenti che vuoi che leggo e stiri anche le camicie?”
“Puoi agevolmente scopare e fumare mentre l’altra persona si fa scopare e legge.”
“Interessante, non so tu come scopi, ma a me in genere è sufficiente concentrarmi altrimenti non mi godo il momento, la sigaretta l’accendo dopo…”
“Ho insospettate qualità – detto questo, vorrei evitare di averti a controllare la cenere mentre scopo.”
“Però chi ti scopi potrebbe stirarmi le camicie, così sarebbe utile avere una persona in camera…”
“Se vuoi puoi stirarti le camicie, mentre ti scopo.”
“No, troppo impegno… magari evito…”
“Evita anche di badare all’altrui cenere, quindi. Se vuoi, puoi pulire il mattino seguente.”
“No, credo che starò attento alla cenere, detesto rimandare a domani quello che posso fare oggi…”

Snatch.

Discutevo in questi giorni con non-ricordo-chi di come il nick “Sna” (che viene pronunciato SNÀ con vaga nota nasale) mi sia rimasto attaccato addosso contro la mia volontà, assumendo lo status di soprannome acquisito. Conosco gente nuova, e questa gente mi chiama “Sna”, quando io ormai non lo uso più. Qualche eone fa, l’Arabo mi fece notare come “Sna” fosse funzionale a una scena di fuga – “Corri, Sna! Cazzo, gli sbirri, Sna!” – e io gli dissi: “Ovvio.”

Sna è stato abbandonato in quanto diminutivo di Snatch, che oltre a essere un gran bel film è un pessimo modo di dire “vagina” (quantomai azzeccato, però).
Snatch era il soprannome di tale Marek Malkovich, mio personaggio, cacciatore di taglie in un’ambientazione sci-fi con venature cyberpunk.
Snatch era definito da: incapacità di dire “no” a una scommessa o a una sfida, malattia da gioco d’azzardo allo stato terminale, un’armeria fornita con quasi l’intero elenco presente sul manuale, distruggere a ogni missione almeno un veicolo e/o un palazzo (non lo facevo apposta), una fama stratosferica (la fama in cyberpunk2020 si lancia con il dado da 10: era uscito 10), la compagnia di una scimmia con un Q.I. più alto del suo. La scimmia (una bertuccia) si chiamava Maggie, la coprotagonista (un esperimento genetico dalla doppia carriera di prostituta e pilota professionista) Megan e l’antagonista Mag. Il master aveva poco fantasia, e io mi domando come riesca a ricordarmi quale nome stesse a chi.
Snatch viveva su un vecchio rottame d’astronave di nome Eatokron (di cui io ho ancora prospetti e piante e sezioni di ogni piano) in compagnia della bertuccia e di Hi-Fi, altro esperimento genetico con gli occhi di Batou, di cui ricordo la voce – la voce del master che si abbassava di qualche dozzina di ottave, acquisiva un tono di rimprovero e chiamava:
“Snatch.”
Con vaga nota nasale.
Il super-cattivissimo era un rosso di nome Cornelius, sadico, genio assoluto sul mercato in quanto a uso di armi bianche (da bravo personaggio sci-fi spettacolare percorreva i soffitti conficcandoci pugnali), rifatto da capo a piedi con la conseguenza di sembrare un manichino.
A volte penso che dovrei contattare il master, e domandargli:
Ma come sarebbe finita?
Chi era Cornelius? Chi sarebbe morto? Il rosso avrebbe sventrato la bertuccia? Megan aveva perdonato Snatch per essere corresponsabile della morte della sua ex (Christmas), lasciando spazio a una romantica storia d’amore, o avrebbe aiutato il rosso a sventrare la bertuccia? Avrebbe trionfato Il Bene? E qual era, Il Bene? – e via discorrendo…
(Si può fare il cacciatore di taglie nella realtà? Sì, esistono corsi per corrispondenza.)

Masquerade e idoli.

Scrivendo un articolo sul gioco di ruolo

Il giocatore può essere qualsiasi cosa voglia.

È arrivando a questa constatazione che il gioco di ruolo si scinde: da una base terapeutica, e comunque riflessiva poiché permette alla persona di “uscire da sé” per poter osservare come reagirebbe in determinate situazioni e con diversi presupposti, diviene possibile vie di fuga da se stessi.

Ovviamente, non mi sono riservata dal parlare del magnifico non-paradosso che la struttura di Vampiri Live permette.

Il vampiro deve, per poter continuare a esistere nei secoli dei secoli, crearsi una vita “fittizia” come essere umano per fingersi tale.
Quindi, qual è la vita vera?
È il giocatore che di notte si finge vampiro, o il vampiro che di giorno si finge giocatore?

Intanto MediaPlayer e la Provvidenza hanno fatto passare per le mie orecchie Forsaken, parte della OST di Queen of the damned (film che la maggior parte degli amanti di Anne Rice hanno aspramente criticato; a me il videoclippone è piaciuto).
Intanto ho riguardato Stuart Townsend fare un malizioso Lestat; ho guardato la pelle al cerone, la magrezza d’annata e ho ascoltato le paroline annesse. Cose come:

You see I cannot be forsaken
Because I’m not the only one
We walk amongst you
Feeding, raping
Must we hide from everyone

… E via discorrendo.
Ho pensato a quando ero una creaturina di nero vestita, adombrata da trucco che mi cadaverizzasse a dovere, guardando Lo Stuart Townsend di cui sopra e invidiandolo senza astio.
(La sera della visione del suddetto film avrei cacciato perentoria un fu Marco da casa mia dicendogli una cosa come “non voglio territoriali voivoida a segnare il territorio in casa mia”, e questo perché aveva guardato intenerito una purple_vertige attaccata al mio braccio destro a succhiare sangue mentre lui stava sul sinistro… Che strana cosa, la vita.)
Pensando a bocconcini mentre guardavo il videoclip, mi è arrivata in botta la fu consapevolezza, quel desiderio d’essere immortali e non avere limiti sul tempo.
Ok, il “non avere limiti sul tempo” lo condivido a tutt’oggi.
Ma ai tempi c’era qualcos’altro.
C’era il sentirsi esterni a tutto questo. Fuori dall’umanità, fuori dalla storia. Intaccabili. Saggi di una non-vita in cui non si cresce mai perché non si deve fronteggiare la morte. E la decadenza, soprattutto. Il lento mortificarsi del Creato…

Ma i live di Vampiri non hanno mai funzionato, con me.
I giocatori erano troppo cessi.
Sgraziati.
Invidiosi.
Impacciati.
Problematici.
Ridicolmente esaltati.
… E via discorrendo.
(cauchemar_73 a parte, mio dolce cicisbeo – ma non ho avuto l’onore, ai tempi, di giocare con te – anche perché, a ben pensarci, avrei potuto prendermi una cotta per te oh mia bella lady oscar della situazione, e avere ancor più problemi di quanti già non avessi. :P)
Non ho mai compreso come potessero le persone vederci qualcosa di anche solo simile all’austera e infantile (…) solennità che un vampiro dovrebbe avere.
Avrei finito tutti con un lanciafiamme, per quanto li vedevo fallibili.
(Ero una creaturina pacifica. E tollerante. Come oggi.)
Quindi, ho smesso.

A tutt’oggi l’unico idolo che mi viene in testa io possa avere, benché questa sia affermazione da prendersi con le pinze, è un pappone saltimbanco che si autoproclamò Re-Profeta di una città, facendo abbattere i campanili perché segno di arroganza e imponendo la poligamia; finì torturato, ucciso e poi, cadavere, umiliato in una gabbia esposta al pubblico ludibrio.
(Jan di Leida.)

… Forse stavo meglio una volta.

(Torniamo all’articolo, sìsì.)